Per una strana e significativa coincidenza l’Umbria che incontriamo in questo capitolo è stata ampiamente raccontata da sommi poeti e scrittori; e persino da pittori, come Corot. Merito della bellezza di Montefalco e di Spoleto e del paesaggio offerto dalle Fonti del Clitunno, oasi naturalistiche e rifugi prediletti per lo spirito. Il nostro viaggio inizia dall’Umbria del buon vino il Sagrantino, da degustare nella sua versione secco e passito ché di spirito sempre si parla, una passione tramandata dagli etruschi e custodita e valorizzata nel corso dei secoli. Proseguiamo poi tra borghi che conservano l’antico fascino di un cuore medievale, per città d’arte come Spoleto, che da sola meriterebbe almeno un giorno intero di permanenza, e infine passiamo per la Valnerina e attraversiamo il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, per giungere in uno dei templi della gastronomia regionale, Norcia.
Lo sguardo da Montefalco.
L’Umbria che ci circonda è quella che un po’ tutti conserviamo nel cuore: dolce, racchiusa da colline, tra vigneti e uliveti; lenta e contadina. Montefalco si raggiunge dopo aver compiuto un tragitto fitto di curve e tornanti, circondato da filari e vigne, aziende agricole, cantine e frantoi; agriturismo, tenute, poderi e fattorie. L’orizzonte è basso e deve farsi spazio tra le forme irregolari e spezzate di questa terra, ben coltivata e ordinata; un orizzonte avvolgente, di origine materna. Sono tornanti che impongono un’andatura lenta e che portano in alto e vien da pensare a Federico II e alla sua passione per la caccia con il falco; a lui che soggiornò in questa terra nel lontano 1249; a lui, e a questa passione, che la comunità ha voluto rendere eterna regalandosi il nome di Montefalco. La sua è una bellezza “alta”, e non a caso la cittadina è conosciuta anche come “la ringhiera dell’Umbria”. L’impianto medievale è ancora conservato e l’accesso alla città avviene proprio da una delle porte originali. Se si vuole raggiungere il centro storico c’è ancora da salire, e lo si fa attraversando una viuzza con antiche botteghe tessili ai lati che porta dritta alla solita piazza principale del paese, ganglio commerciale, sociale, politico e godereccio: tra palazzi comunali e botteghe artigianali, difatti, anche il vino si affaccia sulla piazzetta con l’Enoteca Federico II, l’Enoteca L’Alchimista e con l’Associazione Strada del Sagrantino. Perché Montefalco è città del vino, il Sagrantino, la cui coltivazione nel territorio risale ai tempi dei Romani: sono assolutamente da gustare il Sagrantino di Montefalco Secco (DOCG), il Passito (DOCG), il Montefalco Rosso (DOC) e il Montefalco Bianco (DOC).
L’arte sublime di Benozzo Gozzoli.
La Chiesa di San Francesco si trova al centro di Montefalco e ospita il ciclo di affreschi più importante, dopo quello di Giotto, sulla vita del santo di Assisi. La decorazione dell’abside venne commissionata a Benozzo Gozzoli da fra’ Jacopo di Mattiolo. Già collaboratore del Ghiberti, Benozzo Gozzoli era stato allievo del Beato Angelico, accanto al quale aveva dato prova delle sue capacità sia a Roma che ad Orvieto. A Montefalco si conserva quindi una delle primissime opere, compiuta fra il 1450 e il 1452, in cui il Gozzoli compare a capo di una bottega della quale fanno parte, con ogni probabilità, artisti che hanno già lavorato con lui negli altri cantieri. Il ciclo ha per tema gli episodi più significativi della vita di San Francesco e si articola in tre registri che raccolgono dodici riquadri per un numero complessivo di diciannove episodi. La narrazione ha un andamento ascendente e procede da sinistra a destra: la nascita del santo è rappresentata nella parte più bassa dell’abside e il racconto culmina con la gloria di San Francesco, dipinta nella volta. Anche a Montefalco, così come nella basilica francescana di Assisi, la committenza ha voluto porre in evidenza il parallelismo esistente fra la vicenda terrena di San Francesco e quella di Cristo. Gli affreschi rappresentano inoltre un documento di grande importanza poiché riportano testimonianza di come apparissero, alla metà del Quattrocento, il Palazzo della Signoria a Firenze, effigiato nella scena del Sogno del Palazzo, la basilica di San Pietro a Roma, nel suo aspetto ormai perduto, nell’incontro di San Francesco e San Domenico e, nella Benedizione di Montefalco e del suo popolo, la realistica rappresentazione della cittadina umbra. È evidente come la volontà di affrescare edifici religiosi e laici realmente esistenti esistente fra la vicenda terrena di San Francesco e quella di Cristo. Gli affreschi rappresentano inoltre un documento di grande importanza poiché riportano testimonianza di come apparissero, alla metà del Quattrocento, il Palazzo della Signoria a Firenze, effigiato nella scena del Sogno del Palazzo, la basilica di San Pietro a Roma, nel suo aspetto ormai perduto, nell’incontro di San Francesco e San Domenico e, nella Benedizione di Montefalco e del suo popolo, la realistica rappresentazione della cittadina umbra. È evidente come la volontà di affrescare edifici religiosi e laici realmente esistenti avesse lo scopo di attualizzare, e quindi di rendere più vicina all’esperienza del fedele, la vita di San Francesco. Troviamo inoltre celebrati negli stalli del coro illustri francescani tra i quali Petrarca, Dante e Giotto. Nonostante gli affreschi abbiano subito molti danni e restauri di cui portano tuttora i segni, a livello stilistico è notevole quanto l’opera dell’artista fiorentino sia vicina alla cifra pittorica del Beato Angelico per la soavità dei colori e per quel gusto per il particolare che raggiungerà gli splendidi esiti della cappella in palazzo Medici Riccardi a Firenze, affrescata nel 1460. Nella chiesa di San Francesco a Montefalco la traccia del Gozzoli è testimoniata anche dalla Cappella di San Girolamo, dove è dipinto un finto polittico con la Madonna col Bambino e Santi e una Crocifissione. All’interno della cappella troviamo chiaramente scene della vita di San Girolamo, santo particolarmente venerato dai Francescani per il modello di vita eremitica e il ruolo centrale dell’attività letteraria all’interno della sua esperienza religiosa.
La leggenda del Beato Pellegrino.
Il corpo perfettamente preservato del Beato Pellegrino di Montefalco, conservato nella Chiesa di Sant’Agostino, porta con sé un’affascinante leggenda. Si narra che quest’uomo fosse giunto a Montefalco per venerare Santa Chiara e si fosse recato anche a visitare la chiesa di Sant’Agostino, per riverire i corpi di due devote della santa: le Beate Illuminata e Chiarella. All’ora di chiusura il viandante si addormentò in posizione di preghiera ai piedi di un confessionale; lì, il giorno dopo, lo trovò il sacrestano e tentò di svegliarlo, ma invano: l’uomo infatti era morto e così venne sepolto. Il giorno seguente però il sacrestano trovò nuovamente il corpo dell’uomo nella stessa posizione accanto al confessionale e la cosa si ripeté numerose volte, tra sepolture e misteriose uscite dalla tomba, finché la salma non venne collocata nel campanile. Un secolo più tardi, visto che il corpo, stranamente, non si era decomposto e si trovava ancora nella postura della preghiera, si decise di metterlo in una teca di vetro dove si trova tuttora. Si dice che molti, rivolgendosi a lui, abbiano avuto delle grazie.
Trevi e le Fonti del Clitunno.
Riprendiamo il cammino verso il sud dell’Umbria, toccando, dopo poco più di 10 km, la città di Trevi (verso Località Polzella, via Pietrarossa in Borgo, via Madonna, Trevi), inserita tra i “Borghi più belli d’Italia” e al tempo stesso Cittaslow e Città dell’Olio. E difatti Trevi è circondata da oliveti ed è posta sul declivio del Monte Brunette e del Monte Serano. Fondata dagli Umbri e passata sotto il governo di Roma, che ne fecero un fortunato centro commerciale in virtù della sua vicinanza alla via Flaminia, deve la maggior parte delle odierne testimonianze urbanistiche al Medioevo – tra cui le antiche porte e l’Arco del Mostaccio e al Rinascimento. Poco più di 5 km dividono Trevi dalla meravigliosa oasi delle Fonti del Clitunno (via del Priorato, via Sant’Egidio), uno specchio d’acqua lungo circa 400 metri e dalla superficie di circa diecimila metri quadrati, generato dal fiume Clitunno, in cui si specchia il verde profondo di cipressi, pioppi e salici: un luogo magico e incantato. Virgilio le cita nelle Georgiche, Plinio il Giovane scrisse ad un amico: «Scaturisce sotto una piccola collina folta e ombrosa di antichi cipressi, sgorgando da parecchie vene, non tutte eguali; e il gorgo che fa prorompendo fuori, si allarga in un ampio letto così puro e cristallino, che potresti contare al fondo le monete che vi si gettano o le pietruzze rilucenti…. Le ripe sono vestite di molti frassini e di molti pioppi, e il fiume trasparentissimo le riflette verdi, come se stessero sotto l’acqua»; George Byron, nella sua “Child Harold’s Pilgrimage”, la descrive come «il più lucente cristallo che mai abbia offerto rifugio a ninfa fluviale» e Giosué Carducci gli dedicò una delle sue Odi Barbare dal titolo “Alle Fonti del clitunno”: «Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte | nume Clitumno! Sento in cuor l’antica | patria e aleggiarmi su l’accesa fronte | gl’itali iddii». Poco distante è il Tempietto del Clitunno, eretto nel IV o V sec., con affreschi votivi di grande interesse storico.
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L’incantevole Spoleto.
La sera del 27 ottobre 1786 Goethe appunta: «Sono stato a Spoleto e sono anche stato sull’acquedotto, che nel tempo stesso è ponte fra una montagna e l’altra. Le dieci arcate che sovrastano a tutta la valle, costruite di mattoni, resistono sicure attraverso i secoli mentre l’acqua scorre perenne da un capo all’altro di Spoleto». Anche lo scrittore tedesco Hermann Hesse, durante i suoi viaggi in Italia, fra il 1903 e il 1906, visitò la cittadina umbra e annotò: «Spoleto è la scoperta più bella che ho fatto in Italia». Spoleto accoglie i visitatori sorprendendoli con lo splendido Ponte delle Torri, opera monumentale costruita nel XII sec., lungo circa 240 metri e alto 90, costituito da dieci arcate che collegano il colle Sant’Elia, con la sua bella rocca, e la montagna del Monteluco. Come molte città della regione anche Spoleto fu fondata dall’antico popolo degli Umbri, fu colonia romana, ribattezzata Spoletium, e nel 217 a.C. arrestò l’avanzata di Annibale davanti alle sue mura, evento epico che la città ha voluto ricordare ribattezzando una delle sue porte “Porta Fuga”. Per addentrarci nell’ampio centro storico di Spoleto ricco di chiese e palazzi storici, consigliamo di parcheggiare in piazza San Domenico, sulla quale domina la bella Chiesa di San Domenico, eretta nel 1247 e originariamente concepita come convento domenicano; in quanto tale è rispettosa dell’austerità dell’ordine anche nella facciata, finemente gotica e caratterizzata da bande di pietra bianca e rosa, e nell’interno, con tre navate e pochi resti di affreschi, comunque di grande pregio. L’invito che possiamo fare al visitatore è quello di camminare con pazienza e curiosità, in un dedalo di viuzze, piazze e scalinate che rendono unica al mondo la città di Spoleto. Saliamo verso largo Gigli, con il bel Teatro Nuovo sulla nostra destra, e raggiungiamo l’incantevole piazza Duomo: una bella passeggiata che sfiora infinite botteghe artigianali. Il Duomo, o Cattedrale di Santa Maria Assunta, è tra i più significativi esempi di architettura romanica a livello nazionale e fu costruito nel XII sec. anche se fu più volte soggetto ad ampliamenti, ristrutturazioni, ritocchi e nuove progettazioni, tanto che la sua definitiva configurazione arriva solo nel XVIII sec. per mano dell’architetto romano Giuseppe Valadier. S’impone per la sua splendida facciata a capanna ornata di rosoni e arcate ogivali cieche con un elegante e ampio portico in stile rinascimentale ad opera di Antonio Barocci. All’interno ospita gli affreschi del Pinturicchio nella Cappella Eroli e nell’abside quelli di Filippo Lippi (affiancati dalle decorazioni di Piermatteo d’Amelia) che morì proprio in questa cittadina senza aver potuto completare il ciclo pittorico. Il duomo è un vero e proprio scrigno d’arte: conserva un vasto mosaico in stile bizantino, il Cristo Benedicente, compiuto da Solsterno nel 1207, e la Croce di Alberto Sotio, risalente al 1187. Di grande rilevanza anche la pavimentazione della basilica, fatta di mosaici, opera che risale al XII sec. A questo punto non rimane che intraprendere uno dei percorsi prediletti dagli spoletini: una bella passeggiata che inizia a pochi metri da piazza del Duomo, ovvero dalla piccola e verde piazza Campello, che ci conduce prima alla monumentale Rocca di Albornoz, che domina la città e che fu fatta erigere nel 1359 su progetto del Gattapone, e poi al Ponte delle Torri, da cui si gode uno dei migliori belvedere dell’Umbria. Prima di lasciare Spoleto consigliamo di godere di altre testimonianze d’arte: la Chiesa di San Pietro Fuori le Mura, edificata nel V sec. e ornata da splendidi bassorilievi, l’affascinante Teatro Romano adiacente Piazza della Libertà, ancora oggi luogo di rappresentazioni festivaliere; il Ponte Sanguinario, di origine romana e rinvenuto nei pressi di piazza della Vittoria solo di recente, nel XIX sec., con i suoi imponenti blocchi di travertino; l’Arco di Druso, eretto nel 23 d.C., che ci introduce in piazza del Mercato, dove un tempo sorgeva l’antico Foro Romano; il piazzale della stazione ferroviaria con l’affascinante istallazione dello scultore Alexander Calder, il Teodelapio. Appena fuori le mura del centro storico di Spoleto si trovano due chiese di grande interesse architettonico, la Chiesa di San Pietro e l’ex monastero di Sant’Agata.
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L’Abbazia Santi Felice e Mauro, Sant’Anatolia di Narco.
Lasciamo Spoleto e Monteluco con la consapevolezza di trovarci in uno dei luoghi di più alto fascino architettonico, artistico e paesaggistico dell’Umbria, peraltro un territorio abbondante di eremi e chiese, a testimonianza di quanto, un tempo, sia stata terra di profonda tensione mistica. È per questo che decidiamo di percorrere un tragitto poco battuto ma straordinariamente suggestivo come quello che ci porta direttamente sulla Valnerina (SS 3 verso Eggi, SS 685) verso Sant’Anatolia di Narco. Ci sono segni indelebili lasciati sul territorio dai santi e dagli eremiti, in una vasta zona alimentata da sorgenti e corsi d’acqua di origine carsica, resti dell’antica viabilità romana, dove le poche pianure presenti sono comunque frutto di attività fluviale. Nella splendida Abbazia Santi Felice e Mauro sono di straordinaria fattura i bassorilievi sottostanti il rosone della facciata, che risale al XII sec., dove è metaforicamente ricordata la bonifica della valle attraverso l’uccisione di un drago (rappresentante il fiume Nera) ad opera dei Santi Felice e Mauro. L’edificio monastico è in pietra a faccia vista e ha una struttura bassa con uno sviluppo in orizzontale, perfettamente armonizzata con l’esterno, un ampio giardino che si affaccia sulle sponde del fiume Nera. Oggi l’abbazia offre anche un servizio di accoglienza con cinquanta camere.
Vallo di Nera, il gioiello della Valnerina.
Riprendiamo la statale della Valnerina e bastano poco più di 6km (SS685 verso Castel San felice) per raggiungere Vallo di Nera, una sorta di paese monumento che merita di essere visitato. L’arrivo al borgo è particolarmente seducente, complice un percorso fitto di cunette e immerso nel verde. Una volta arrivati al paese, la vista sulla Valnerina è di una rara intensità, un belvedere di grande fascino. Tutto sempre straordinariamente quieto e silenzioso, eccezionalmente armonico. Vallo di Nera è un borgo perfettamente ristrutturato, che risplende per i suoi palazzi e le sue chiese in pietra chiara. A prima vista assomiglia ad una piccola fortezza medievale, soprattutto in virtù delle sue mura e delle sue torri, che la rendono un paese castello. Accoglie tre chiese romaniche tra cui Santa Maria di Valle, ampiamente affrescata con dipinti del Trecento e Quattrocento, che può essere considerata un vero e proprio museo: sono da ammirare lo splendido presbitero, interamente affrescato, e l’ampia decorazione della parete destra.
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L’Eremo della Madonna della Stella e l’Abbazia di Sant’Eutizio.
Scendiamo a valle e riprendiamo la SS 685 verso Cerreto di Spoleto. Sul dorsale del Monte Maggio, lungo una strada ricca di tornanti panoramici, raggiungiamo l’Eremo della Madonna della Stella, in Località Rocchetta. Con i suoi settecento anni di vita, quella che un tempo fu una grotta eremitica fondata da due monaci agostiniani fu riscoperta da alcuni pastori nel 1822 sotto un groviglio di rovi. Il silenzio del luogo è tagliato solo dal canto degli uccelli e dal suono delle acque del vicino torrente del fiume Tissino. L’eremo sembra uscir fuori dalla roccia ed è interamente fabbricato con pietra. L’ultima tappa di questo nostro itinerario ci porta all’Abbazia di Sant’Eutizio, nei pressi di Preci, un luogo importante nella storia della medicina poiché ai benedettini che ressero l’abbazia si deve la nascita e lo sviluppo della celebre scuola chirurgica di Preci, una delle prime scuole occidentali di microchirurgia. Perfettamente restaurata e poste su un rilievo collinare che ne aumenta il fascino, l’abbazia si configura come un vero e proprio piccolo borgo, con tanto di chiostro, complesso monastico, chiesa e due ampi giardini. La facciata dell’abbazia offre un portale romanico con un bel rosone e tutto il complesso appare di raffinatissima concezione architettonica. Assai affascinanti le grotte dove Sant’Eutizio e San Fiorenzo compivano il loro ritiro spirituale. L’abbazia di Sant’Eutizio fu abitata da San Benedetto. Chiudiamo la nostra giornata dopo aver compiuto un itinerario di straordinaria intensità paesaggistica. Sarebbe quanto mai opportuno percorrere i 20 km che da Preci conducono a Castelluccio di Norcia sull’ora del tramonto, così da godere in pieno degli incantevoli orizzonti del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.
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