L’attraversamento del parco naturale dei Monti Sibillini è un’esperienza di grande meraviglia per la bellezza dei suoi orizzonti e per la suggestione dei panorami, un territorio che ospita numerosi rifugi eremitici, rocche e antichi borghi. Partiamo da Castelluccio di Norcia e giungiamo a Norcia, oasi gastronomica nota in tutto il mondo, fino a sfiorare un vero gioiello tramandatoci dal Medioevo, l’Abbazia di San Pietro in Valle, a Ferentillo, che sorge nella valle del fiume Nera alle pendici del monte Solenne. Siamo nella Valnerina, un comprensorio di paesi che mantiene intatto il proprio fascino ed è generoso di rocche, castelli e fortezze: luoghi di grande interesse paesaggistico e storico, un tempo battuti dai viaggiatori del grand tour settecentesco. Lo scenario racchiude, in una sola valle, bellezze naturali, monumenti, rovine e memorie: dalle vestigia romane di Otricoli e Carsulae al Ponte di Augusto, a Narni; dalla Cascata delle Marmore al Lago di Piediluco, «luoghi stupendi» per dirla con Johann Wolfgang von Goethe, che, entusiasta, li menziona nel suo Viaggio in Italia, vera e propria summa delle esperienze italiane dello scrittore durante gli anni 1786-1788. Per completare la visita a Terni e dintorni proponiamo un viaggio che ripercorra l’antico itinerario della via Flaminia: essa, promossa e costruita dal console Caio Flaminio intorno al 220 a.C., raggruppò in un unico tracciato la frammentata viabilità che dall’Urbe conduceva a Rimini.
I Monti Sibillini e la Fioritura di Castelluccio di Norcia.
Siamo a sud est dell’Umbria, al confine con le Marche, in un territorio posto all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, un’oasi naturalistica di settantamila ettari e un paesaggio di straordinaria bellezza. Il suo rilievo montuoso più alto, il Monte Vettore, spicca con i suoi 2.746 metri, e accoglie in una delle sue cave un vero e proprio miracolo della natura, il Lago di Pilato, un piccolo specchio d’acqua di tipo alpino formatosi in epoca glaciale, dalla particolarissima forma ad occhiale. Il Monte Vettore taglia in due il confine di Umbria e Marche e, sul lato umbro, declina dolcemente su tre altopiani, il pian Grande (bacino carsico lungo 7 km e largo 3), il pian Piccolo e il Pian Perduto. La vista panoramica più toccante si ha da Castelluccio di Norcia, il paese più alto degli Appennini (1.452 metri s.l.m): ci appare come un paesaggio quasi lunare, di una bellezza abbagliante, totalmente immerso nel silenzio. Tra la fine di maggio e l’inizio di luglio l’altopiano di Castelluccio si trasforma, dipingendosi di mille colori, vestendosi di un mosaico cromatico dalle infinite sfumature. Sono i giorni della fioritura e ovunque esplodono tonalità di giallo, rosso, bianco, azzurro, un giardino fitto di fiori di rara bellezza con papaveri, narcisi, genziane, tulipani e fiordalisi; e anche di piante di lenticchie, dai toni gialli e azzurrognoli. È una straordinaria festa della natura e una vera e propria manifestazione di straripante energia vitale.
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Norcia e Cascia.
Da Castelluccio scendiamo a Norcia percorrendo una strada panoramica (SP 477 e SS 685) di una bellezza che ricorda quella seguita partendo da Preci. Domina ovunque il verde dei rilievi montuosi dei Monti Sibillini. In perfetto equilibro tra sacro e profano, Norcia è la città di San Benedetto, fondatore dell’ordine benedettino e patrono d’Europa, e al tempo stesso patria degli insaccati. Il paese ha un’organizzazione urbanistica diversa dai tanti borghi medievali umbri perché, in seguito a rovinosi terremoti che l’hanno colpita durante il Settecento, è stata interamente ricostruita. L’impianto originale è comunque romano e, come testimoniano l’ampia cinta muraria e le otto porte, la città si dovette difendere dagli attacchi delle popolazioni barbare, tra cui Longobardi e Goti. Si accede al piccolo centro da porta Romana; una piccola stradina, fitta di botteghe alimentari e norcini, ci conduce direttamente nel cuore della cittadina umbra, in piazza San Benedetto: qui fanno bella mostra di sé il Palazzo Comunale (con loggiato inferiore del XIV sec.), il portico della Loggia dei Mercanti, la Basilica di San Benedetto (eretta in epoca medievale nel luogo dove nacque il Santo, abbellita da una facciata gotica), il Duomo e la monumentale Rocca Castellina (eretta nel 1554). L’effetto è di singolare bellezza e la piazza si distingue come una delle più affascinanti dell’Umbria per qualità di disegno e disposizione dei monumenti. Ovunque si respira un’aria stuzzicante di sapori e di odori, come davanti a un banchetto agroalimentare: merito delle tante botteghe norcine che vi si affacciano. Da Norcia proseguiamo per Cascia, appena 20 km (SS 685 verso Serravalle, SR 320 verso Sant’Anatolia) che introducono alla Valnerina, ampia vallata tracciata dal fiume Nera, generato dalle acque della Cascata delle Marmore. Anche Cascia deve la sua notorietà alla vita di una protagonista della chiesa cattolica, la monaca agostiniana Rita da Cascia, proclamata Santa nel XX sec. A lei è stato reso omaggio con il Santuario di Santa Rita, consacrato nel 1947, dove un tempo si ergeva un’antica chiesa agostiniana. Il complesso non è di particolare interesse artistico e architettonico se non per il bell’altare disegnato da Giacomo Manzù. In questa prospettiva la visita a Cascia, se non per i fedeli, ha poca ragion d’essere.
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L’Abbazia di San Pietro in Valle.
Riprendiamo il cammino entrando prima nel Parco Regionale Coscerno-Aspra, con il suo incantevole altopiano di Piani di Giavelli, e poi attraversando la Valnerina (SS 685 verso Cerreto di Spoleto, SR 209 verso Vallo di Nera) con il suo panorama mozzafiato, una strada che ricorda una gola carsica naturale circondata da rilievi collinari e montagnosi. Tocchiamo Vallo di Nera (ancora intatto nella sua primigenia struttura urbanistica medievale), Sant’Anatolia di Narco (con i resti di un castello e con l’incantevole Convento di Santa Croce), il delizioso borgo medievale di Scheggino (si possono degustare ottime trote, gamberi di fiume e un buon tartufo) e arriviamo a una delle più sorprendenti abbazie della regione, l’Abbazia di San Pietro in Valle. Le fonti riportano la notizia di una comunità di religiosi giunti in Umbria dalla Siria intorno al V-VI sec.; qui avrebbero fondato il primitivo eremo dove si stabilirono i santi Lazzaro e Giovanni. I due eremiti sarebbero apparsi in sogno a Faroaldo II, sesto duca longobardo di Spoleto, il quale, per offrire loro il giusto riparo, avrebbe fatto costruire l’Abbazia di San Pietro in Valle. In realtà è più probabile che la fondazione dell’abbazia sia da porre in relazione alla necessità di controllo di un territorio di cruciale importanza strategica sulla via tra Roma e Ravenna. Il complesso abbaziale si articola in quattro ambienti principali. Tre sono i chiostri, di pianta e disegno diseguale, attraverso i quali il visitatore giunge alla chiesa. Le prime due corti sono databili al XV sec.; l’ultimo ambiente, il chiostro vero e proprio, risale probabilmente al XII-XIII sec.; qui si trova un porticato in due ordini dallo stile non omogeneo, probabilmente frutto di restauri nell’arco del XV sec. Attraverso un portone, che conserva negli stipiti le sculture di San Pietro e San Paolo, risalenti all’XI sec., si accede alla chiesa; questa, databile fra l’XI e il XII sec., si presenta a una sola navata dalla notevole lunghezza, mentre il presbiterio è costituito da tre absidi di modeste dimensioni. Sul braccio nord del transetto si innesta il campanile a pianta quadrata della fine dell’XI sec.: costruito secondo i canoni vigenti a Roma, presenta cornici marcapiano e una terminazione piatta, a torre. All’interno si trova un importante ciclo di affreschi la cui datazione, incerta, oscilla tra il XII sec. e i primi anni del XIII. Esso consta di quattro registri, il superiore dei quali è decorato con motivi geometrici. Le scene sono inserite entro un’illusionistica galleria scandita da colonne tortili. Nella parete sinistra e nel registro superiore di quella destra si trovano scene dell’Antico Testamento; nei registri mediano e inferiore della parete destra notiamo invece raffigurazioni del Nuovo Testamento. La scuola che ha lasciato questa testimonianza è quella romana; invece per la partizione delle scene, la presenza di didascalie, le divisioni e le finte trabeazioni la mano degli artisti che operarono in San Pietro in Valle risulta lontana dagli influssi bizantini. Non possono non stupire la ricchezza e la varietà degli affreschi in un luogo così distante dai percorsi artistici più noti: anche il turista più distratto alzerà gli occhi e girerà su se stesso per cogliere questo gioiello nella sua interezza. Oltre allo splendido ciclo di affreschi, tra i più importanti del centro Italia, è possibile ammirare anche una serie di frammenti scultorei databili fra il VII e il IX sec. Alcuni di essi sono stati ricomposti arbitrariamente durante i restauri degli anni Trenta del Novecento nell’attuale altare. La lastra frontale dell’altare è pressoché un unicum nel suo genere, sia per l’essenzialità della tecnica quasi un graffito sia per ciò che viene rappresentato due figure umane e un vasto repertorio di elementi della scultura longobarda e bizantina sia per la presenza della firma del Magester Ursus. Saranno proprio questi requisiti singolari a stimolare tanta critica italiana ed europea nel decifrare un vero e proprio enigma dell’arte altomedievale. Ancora oggi l’Abbazia di San Pietro e la sua valle suggestionano l’attenzione del visitatore per la natura rigogliosa, le mura colme di arte e di storia e il paesaggio mozzafiato: una vera oasi di pace e di silenzio. Lo sguardo di chi visita questo luogo dell’anima potrà descrivere meglio ciò che le parole hanno soltanto tentato di fare.
La Valnerina, una terra intorno all’acqua.
Invertendo le leggi della logica si dice che la Valnerina sia una terra intorno all’acqua. In fondo è solo una valle con un fiume al centro. Ma la logica in questo caso è molto relativa. E così, se uno dei borghi più affascinanti dell’area ternana si chiama Casteldilago, ci si dovrebbe aspettare di vedere le sue torri riflesse in un ampio specchio d’acqua. Invece no. Perché Casteldilago (a otto chilometri dal centro di Terni) oggi è situato sopra uno sperone di roccia che domina il fiume, ma il lago non esiste più. Ne è rimasto solo il ricordo nel toponimo e negli attracchi delle barche poco sopra la strada che conduce al paese. Dove c’era il lago ci sono ora campi e prati e a poche centinaia di metri il borgo gemello di Arrone. Castelli che si fronteggiano come in un duello medievale. Non a caso proprio qui il grande regista Mario Monicelli girò una delle scene più celebri de L’Armata Brancaleone, quella del torneo, all’inizio del film. Ma tra Arrone, che da poco è entrato nel club dei Borghi più belli d’Italia, e Casteldilago oggi risuonano solo le campane delle bellissime chiese di San Giovanni Battista, della collegiata cinquecentesca di Santa Maria Assunta, della Chiesa di San Nicola. Paesi-presepi di pietra si scrutano gli uni con gli altri in tutta la Valnerina ternana: Collestatte e Torre Orsina, balconi naturali sulla valle e sulla Cascata delle Marmore; Montefranco, fondato dai fuoriusciti di Arrone, che ora guarda la “madrepatria” dall’alto in basso dalla cima del suo colle; e Ferentillo che, caso più unico che raro per un paese così piccolo, è formato da due borghi: Precetto e Matterella (degno di nota il Museo delle Mummie nella Chiesa di Santo Stefano), divisi da un ponte sul Nera e difesi, alle spalle, da due imponenti rocche che chiudono, di fatto, la Valnerina ternana, poche centinaia di metri prima della straordinaria Abbazia di San Pietro in Valle (a quindici chilometri dal centro di Terni), fondata dal duca longobardo Faroaldo e scrigno di tesori pittorici pregiotteschi che fanno parte della storia dell’arte, come abbiamo già visto.
Lago di Piediluco e Villalago.
A poco più di 20 km da Ferentillo si trova il Lago di Piediluco, specchio d’acqua artificiale immerso nel verde il cui nome significa “ai piedi del bosco sacro”. Suggestivo e incantevole il centro abitato, una lunga striscia di caseggiati posati sulle sponde del lago e attraversati da un unico corso stradale che conduce alla piazzetta del centro storico, affacciata in uno dei più affascinanti belvedere. Il borgo è caratterizzato dalla presenza di numerosi vicoli che conducono alla riva del lago, un effetto ottico che regala splendide vedute. Assai coinvolgente anche la via panoramica che, a partire dal centro storico, conduce in una dorsale collinare da cui è possibile ammirare lo straripante patrimonio boschivo che circonda il lago e che si riflette nelle acque per l’intero suo perimetro. A poche decine di metri dal suo centro storico si trova la Montagna dell’Eco, così chiamata perché in grado di far risuonare un intero endecasillabo nella sua interezza. Per godere di una delle migliori viste del territorio consigliamo di raggiungere Villalago, residenza in stile neoclassica fatta costruire dai baroni Franchetti (set cinematografico del film “La Caduta degli dei” di Luchino Visconti) e poi ancora Labro, incantevole borgo medievale.
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La Cascata delle Marmore
«Invano la pittura ha tentato di rendere queste grandi scene della natura, di cui il movimento e la vita sono l’essenza. Ho visto numerosi quadri dove abili mani hanno tentato di fissarle; tutta la loro arte non ha prodotto che imitazioni fredde e inanimate […] da ogni parte essa è ugualmente grande e maestosa […] La lingua non ha parole per esprimere il sentimento profondo e esaltato che comunica». Con queste parole Friedrich Johann Lorenz Meyer ci riassume l’eco che nel corso dei secoli ha suscitato il contesto ambientale di Terni e della Valnerina nella cultura europea. Posta lungo la via del classico Grand Tour in Italia, il belvedere superiore della Cascata delle Marmore si raggiunge dal Lago di Piediluco in 5 km (verso vocabolo Mazzelvetta): un tempo si offriva come sosta ideale nel viaggio verso Roma e la sua magnifica “terribilità” stupiva, incantava e frastornava. «L’impareggiabile cateratta, orribilmente bella» di cui parla il poeta romantico George Byron a lui è intitolato il piazzale principale che fronteggia la cascata; un «inferno di acque [che] ululano e sibilano e ribollono nell’eterna tortura; mentre il sudore della loro immane agonia, spremuto da questo loro Flegetonte, abbraccia le nere rocce che circondano l’abisso, disposte con dispietato orrore […]». Come ricordano in molti, la cascata fu creata dal console romano Marco Curio Dentato, che “forò” il ciglione delle Marmore facendo defluire le acque del Velino nel fiume Nera, con lo scopo di rendere salubre l’impaludata piana reatina. «Bisogna convenire che questo spettacolo è molto al di sopra di tutte le meraviglie dell’arte»: così Jérôme Richard, a Terni nel 1762, di ritorno da Roma e diretto a Loreto, descriveva lo scenario che si offriva al viaggiatore. Sublime e orrida maestosità della cascata. Spettacolo che lascia senza parole, che imbarazza l’artista; natura che sfida la penna e il pennello, incapaci di ritrarre il movimento, la vita e il frastuono che rendono la scena a tal punto impressionante. Al moderno e curioso turista resta il piacere, immutato, della potenza delle acque e della scoperta di quei luoghi attraverso l’incanto di quanti, in passato, vi hanno posato lo sguardo, in una sorta di itinerario letterario. Basterà tendere bene l’orecchio, sembrerà di sentirne il brusio.
L’Area Archeologia di Carsulae.
Lasciata alle spalle la Cascata delle Marmore ci dirigiamo verso Terni (SS 79 ) e raggiungiamo Cesi, piccolo paese da cui si può godere uno dei più bei panorami della conca ternana. Percorrendo la SP 72 in direzione San Gemini, in appena 7 km, si giunge al Parco Archeologico di Carsulae, il cui primo insediamento sembra sia sorto precedentemente alla via Flaminia. Dall’epilogo del I sec. a.C. Carsulae viene più volte citata nelle fonti antiche come zona dalle fertili terre; lo sviluppo economico, sostenuto dai fiorenti commerci, era garantito dalla vitalità della stessa via Flaminia. In seguito Carsulae divenne municipium. Fra le costruzioni conservate troviamo alcuni monumenti funerari e l’imponente Arco di San Damiano; un maestoso edificio pubblico si ergeva sul foro, non distante da due tempietti gemelli, forse dedicati ai Dioscuri; sono presenti inoltre le rovine delle terme, caratterizzate da vasti mosaici, mentre l’anfiteatro venne edificato sfruttando il naturale andamento del terreno/it/storia-e-archeologia/carsulae/. Gli ultimi studi propongono di rintracciare nei grandi edifici a ridosso della via Flaminia, di costruzione precedente alla fase imperiale, una mansio, un luogo di sosta che ospitava viandanti. Superato l’Arco di San Damiano scendiamo a valle e incontriamo sul nostro percorso la chiesa romanica di San Giovanni de Butris, edificata sui resti di un ponte romano, con ogni probabilità coevo a quello di Narni, del quale si scorgono tuttora due arcate. Proseguendo verso nord troviamo Ponte Fonnaia, una singolare opera che mostra le arcate non in asse, poiché il corso della Flaminia non risulta perpendicolare all’andamento del torrente Aia. Poco oltre l’antica città romana di Carsulae sono i resti delle catacombe in località Grotta Traiana, databili al III sec. d.C. Nei pressi dell’antica Abbazia di San Faustino (XI-XII sec.) sono visibili le imponenti vestigia dell’ennesimo ponte, su cui si notano costruzioni tuttora abitate.
Il comprensorio Ternano: San Gemini, Narni e Amelia.
Il comprensorio ternano è ricco di piccoli borghi medievali che mantengono intatto il proprio fascino ed è generoso di rocche, castelli e fortezze, luoghi di grande interesse paesaggistico e storico. Per comodità percorriamo la strada che da Carsulae conduce a San Gemini per poi giungere prima a Narni e infine ad Amelia. Nonostante il Comune di San Gemini sia universalmente associato alle sue sorgenti d’acqua minerali, salutari e benefiche, la cittadina umbra è particolarmente ricca di testimonianze architettoniche di grande interesse. I numerosi vicoli, torrioni, chiostri e palazzi di San Gemini e le tante scalinate, piazze e abbazie sono testimonianza della ricchezza medievale, a partire dalla cinta muraria, in parte ancora visibile, che abbraccia lo splendido centro storico. Di grande interesse storico e artistico sono il Battistero dell’VIII sec., la chiesa romanica di San Giovanni Battista, l’Abbazia di San Nicolò, l’Abbazia di San Gemine (il duomo) e infine il Palazzo del Capitano del Popolo, noto anche come Palazzo Vecchio. Appena 14 km dividono San Gemini da Narni (SS 3 verso San Bartolomeo e lungo la via Tiberina), una piccola cittadina colma di storia e di arte che mostra ancora oggi le stratificazioni che, dai tempi più remoti, si sono sovrapposte fino ai nostri giorni. Non può non essere ricordata l’imponente Rocca che domina il centro della città, fatta erigere dal cardinal Egidio Albornoz nel 1370 allo scopo di consolidare il controllo da parte dello Stato Pontificio sui propri territori. All’interno del Duomo dedicato a San Giovenale (XI-XII sec.) si trova l’antico sacello del vescovo Cassio, che ha rappresentato il fulcro della vita religiosa di Narni dall’età paleocristiana in poi. Interessante è anche visitare quella parte della Narni sotterranea nella quale si possono ammirare resti di cisterne romane, un’antica chiesa ipogea con affreschi del XII sec. e i curiosi quanto toccanti graffiti realizzati dai reclusi nei locali del tribunale dell’Inquisizione. A valle dell’abitato troviamo il ponte di Augusto, in gran parte in rovina, che si erge al di sopra del fiume Nera. Esso risale a quella fase di ripristino della Via Flaminia promossa dall’imperatore Augusto intorno agli anni Venti del I sec. a. C.: venne tante volte immortalato nelle stampe del Settecento e dell’Ottocento e ha poi trovato la massima celebrazione artistica nel quadro del francese Jean Baptiste Camille Corot, conservato al Louvre. Percorriamo infine gli ultimi 15 km per arrivare ad Amelia (SS 205 attraverso la strada Amerina, Via Roma, Fornole). Passeggiare per le vie di questo borgo equivale a compiere un vero e proprio viaggio nel tempo, dai primi insediamenti del Paleolitico alle testimonianze di civiltà umbre ed etrusche, romane e cristiane, tanto che viene considerato il centro più antico della regione. La cittadina ebbe nel Rinascimento il suo momento di splendore grazie anche all’opera di due illustri cittadini, il pittore Piermatteo d’Amelia e Agapito Geraldini, al servizio di Cesare Borgia. Ancora oggi la città può contare su un intricato dedalo di vicoli e piazze ricche di chiostri e chiese, fregi e monumenti carichi di storia. Poche città in Italia possono vantare un numero tanto alto di palazzi e residenze nobiliari di notevole interesse architettonico. Amelia conserva anche la superba statua del Germanico all’interno delle sale del Museo Archeologico.
L’Abbazia di San Cassiano e il Sacro Speco di San Francesco.
Sono due le abbazie più interessanti sotto il profilo storico e architettonico, l’Abbazia di San Cassiano e quella di Sant’Angelo in Massa, quest’ultima difficilmente raggiungibile e in rovina: per questo motivo ci concentriamo esclusivamente sulla prima. Eretta nel X sec. e abitata dai monaci benedettini, l’Abbazia di San Cassiano deve la sua fortuna anche alla posizione strategica, a ridosso dell’antica via Flaminia. Ancora oggi totalmente immersa nel verde, la sua struttura architettonica di base è stata profondamente stravolta nel corso dei secoli: originariamente era a croce. Il complesso è costituito da vari nuclei abitativi accanto alla chiesa, il tutto abbracciato da una cinta muraria che prorompe in un piccolo campanile: a prima vista ricorda una piccola città castello e infatti fu costruita su un primigenio monastero fortificato. Composta di tre navate con deliziosi pilastrini e capitelli romanici, l’Abbazia di San Cassiano ospita anche dettagli architettonici di tipo orientale, come l’arco a ferro di cavallo. Il panorama che si affaccia dal chiostro dell’Abbazia è di struggente bellezza. Da Narni, percorrendo circa 13 km (verso strada Narni – Sant’Urbano), raggiungiamo il Sacro Speco di San Francesco lungo un tragitto di grande interesse paesaggistico, tortuoso ma assai intrigante, totalmente immerso in un profondo verde boschivo. Ad accoglierci all’Eremo è una statua di San Francesco e alcune tavole bronzee con l’iscrizione del testo del Cantico delle Creature. Il complesso è legato alla memoria e alla vita contemplativa di San Francesco, che qui dimorò nel 1213 in una grotta eremitica, uno speco ancora visitabile. Raggiungiamo innanzitutto il bel convento inferiore, tutto in pietra e legno, con un piccolo ma delizioso chiostro da cui si può godere di uno splendido paesaggio. L’ingresso alla chiesa avviene da una piccola porta in pietra bianca: attraversata questa, dopo un breve sentiero, raggiungiamo il Santuario Superiore, che ci appare come scavato nella roccia, un luogo di grande attrattiva, adoperato esclusivamente in estate, che offre l’opportunità di celebrazioni all’esterno. In questo spazio è ricavato l’ambiente di una deliziosa chiesetta; possiamo anche far visita allo speco di San Francesco, un vero e proprio taglio sulla roccia. Il Sacro speco di San Francesco di Narni è il luogo più adatto per terminare il nostro viaggio nell’Umbria dei Santi e dei Mistici perché è proprio qui che è raccolto il fascino del mondo spiritale dei mistici e degli eremiti e la semplicità della loro vita contemplativa. A questo luogo, infine, sono associati alcuni miracoli di San Francesco, come quello legato al celebre castagno ancora rigoglioso nel parco del Santuario: «il secco bastoncello che frate Francesco piantò non lontano dalla amata spelonca, si riempì presto di germogli; e ancor oggi, maestoso di rami e di secoli, ricco di nuovi polloni sviluppatisi intorno all’originario ceppo, il “Castagno di S. Francesco” produce gustosissimi frutti, sperimentati efficacissimi “per ogni sorta di malattie, gustandone con fede” (G. Ceroni, cit.)»
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